Paolo Casarini

Nel romanzo d’esordio Il sentiero dei nidi di ragno, la soluzione di Calvino per proteggersi dalla retorica partigiana era stata quella di apporre un filtro, di preservare la verità dell’esperienza sottraendosi all’identificazione con lo sguardo e la voce del giovanissimo Pin.
Forse l’aspetto più notevole dei racconti di Ultimo viene il corvo è che animali e fiabesco non hanno invece nulla a che vedere con l’adozione di un punto di vista infantile. Nel Calvino di queste pagine non c’è preoccupazione antiretorica, perché qui il timbro del racconto non dipende dalla prospettiva straniata di un personaggio non più bambino e non ancora adulto, ma sono gli eventi stessi (e non la loro percezione) ad aver assunto ormai una dimensione magica. 
Abbandonata la civiltà, superato il confine del bosco, ogni oggetto e ogni situazione sono chiamati a svelare la loro natura potenzialmente meravigliosa. Nelle mani del ragazzo dalla mira infallibile l’arma da fuoco dei partigiani assomiglia alla bacchetta di un incantatore assai più che allo strumento di morte di un qualsiasi soldato: e di sicuro raggiunge il suo obiettivo attraverso un rituale completamente diverso.
Nel panorama della letteratura partigiana le storie di Ultimo viene il corvo rappresentano qualcosa di molto simile ad uno “stato di eccezione” narrativo, come se tutto ad un tratto alcuni dei principi basilari della letteratura di ispirazione realistica non fossero più adatti a raccontare un evento estremo come la guerra per bande.
La Resistenza rappresenta l’evento che apre lo spazio alla fantasia e dunque alla scrittura : la scelta che consente di superare una soglia, anche quella che separa lo spazio della memoria dalle regioni della finzione letteraria.

La lettura è interpretata da Paolo Casarini sulla falsariga del racconto orale della favola, per rendere evidente il contrasto tra la forma giocosa adottata da Calvino e il contenuto realistico e crudo della vicenda.

S.T.

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