JAVIER MARIAS, Gli innamoramenti

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Javier Marias, Gli Innamoramenti, Einaudi, 2012
316 pagine – Euro 12,00

Leggere un romanzo di Marias è un’esperienza completamente dissimile dal leggere un romanzo di un qualsiasi altro autore contemporaneo.
Anche il suo ultimo, Gli Innamoramenti (Einaudi 2012), ha tutti gli elementi che caratterizzano la prosa e la struttura narrativa dello scrittore spagnolo, in primis la capacità di trasfigurare una storia trasformandola in un’esperienza umana tanto più soggettiva quanto più i protagonisti la descrivono, ne danno i particolari, vi riflettono.
In quest’opera, ma anche nelle più significative precedenti (Un cuore così bianco, Domani nella battaglia pensa a me), infatti, nulla è mai come sembra e le situazioni evolvono e mutano di segno col progredire del romanzo; non solo perché effettivamente alla trama si aggiungono nuovi elementi, quanto piuttosto perché la conoscenza dei fatti si amplia nel pensiero di ciascun personaggio coinvolto, a partire dal protagonista – narratore che, a sua volta, riflettendo, costruisce infiniti scenari possibili.
Gli Innamoramenti si apre con María Dolz, la protagonista, che osserva ogni mattina una coppia fare colazione davanti a lei nel caffè dove è solita andare; con il passare dei giorni la donna inizia a fantasticare sul loro ménage, finché, improvvisamente, dei due, l’uomo non si presenta più. María decide allora di avvicinarne la moglie – quasi per caso – per scoprire che l’uomo è morto assassinato, aggredito da un balordo che lo ha scambiato per un’altra persona. Essendosi inspiegabilmente sentita sin dal principio attratta nell’orbita della coppia, la protagonista finirà col diventare l’amante di un loro caro amico, da sempre innamorato della vedova, e con lo scoprire che, per l’appunto, le cose non stanno mai come sembrano. E che – forse – la casualità dell’omicidio era il frutto di un’operosa messa in scena o, ancora, che quello che pare essersi compiuto infine come spietato assassinio, in realtà si configura come atto di generosità.
Il colpo di scena è la cifra della scrittura di Marias: ogni volta che al lettore pare di aver raggiunto una credibile conoscenza di quel che è avvenuto, gli eventi mostrano una nuova faccia che ne rovescia il significato.
L’autore non si serve di questo espediente per costruire una trama più corposa, in termini di avvenimenti, di quanto già non sia, ma per sottolineare l’estrema arbitrarietà della vita, che altro non è che una rappresentazione del pensiero.
Ha più “forza di realtà” quel che crediamo essere accaduto, o ciò che accade realmente?
Quasi a teorizzare quest’ambivalenza ne Gli Innamoramenti i protagonisti citano a più riprese Il colonnello Chabert di Balzac, in cui si racconta la storia di Hyacinthe Chabert, soldato della Grande Armata, creduto morto dopo la battagli di Eylau e gettato quindi nella fossa comune con gli altri cadaveri, e che invece morto non era ma solo creduto tale, cosa che fu sufficiente a non fargli più ritrovare posto nell’umano consorzio, al momento del suo ritorno, perché “i morti devono restare al loro posto e niente deve modificarsi”. Metafora assolutamente trasparente: l’ordine delle cose è dettato dalla mente, e neppure trovarsi davanti vivo e vegeto quello si crede un cadavere può intaccare uno “stato di fatto” creato dal pensiero.

In Marias, in sintesi, la contrapposizione pensiero – realtà diviene elemento di poetica: la realtà è quella del pensiero, non la verità dei fatti.
Nonostante i suo numerosi premi, 40 anni di carriera letteraria e oltre una dozzina di opere maggiori Marias resta tutt’ora uno scrittore di nicchia (c’è chi trova i suoi romanzi addirittura un poco noiosi, come se, nonostante i colpi di scena, in essi non succedesse mai niente), forse perché piace a chi nel leggere pensa due volte: si figura cioè i fatti descritti e segue con interesse le riflessioni che l’autore mette in bocca ai suoi personaggi con la tecnica dello stream of consciousness (flusso di coscienza), riflessioni che, di fatto, costituiscono il nucleo narrativo delle sue opere.
Non importa chi sia l’assassino o come vivesse l’uomo assassinato, quello che cerca il lettore è la riflessione sulla loro vita, come se il pensiero e l’azione potessero essere scissi perfettamente: ciascun attore sulla scena è una prima volta quel che è realmente e una seconda quel che di esso si può pensare.
Ciò che Marias si compiace di fare non è solo alterare la realtà degli avvenimenti, ma anche deformare la sequenza temporale che appartiene a quella che si ritiene essere “la norma della suddetta realtà”, il susseguirsi dei rapporti di causa ed effetto che ci pare evidente, in un gioco cerebrale tanto sottile e complesso da allontanare il lettore dal gusto più immediato.
In Domani nella battaglia pensa a me – titolo “shakespeariano” dal Riccardo III, – un uomo si trova a passare in pochi istanti da un approccio d’amore a casa di una sconosciuta alla situazione opposta, di morte, che lo vede guardare attonito la donna giacere sul letto, stroncata nell’amplesso, mentre dalla stanza accanto viene il pianto del suo bambino. Ne Gli Innamoramenti questo processo trova ancora una volta in Shakesperare, nel Macbeth, parole che ne concentrano iconicamente il senso: “he should have died hereafter”. Sarebbe dovuto morire più avanti, sente dire María da chi poi sospetterà essere il mandante dell’assassinio. E la potenza estrema della mente sul reale si estrinseca persino nel discettare su quando sia il tempo di morire: “ qui sta il problema. Perché tutti moriamo, e in fin dei conti niente cambia troppo – niente cambia nella sua essenza – quando si anticipa il turno e si assassina qualcuno, il problema risiede nel “quando”, però chi sa qual è quello adeguato e giusto, che cosa vuol dire “a partire da adesso” o “da adesso in avanti” se l’adesso è per natura mutevole; che cosa significa “in un altro tempo” se non vi è altro che un tempo, ed è continuo, e non si divide, e sta eternamente alle calcagna impaziente e senza obiettivo; se va precipitando come se non fosse in suo potere frenarsi e ignorasse lui stesso le proprie intenzioni.
Marías è un narratore totale: di grandi eventi storici e di dettagli rimasti nella mente e nel cuore come strati geologici o «resti fossili di tempo» che, grazie a un loro dna ritrovato, ridiventano vivi e attivi, sempre se stessi ma insieme altri e diversi.
Marías è poeta del grande e del minimale, della Storia e delle sfumature del cuore, delle passioni e degli intrighi, dell’avventura e del mistero, degli oggetti e dei fantasmi. La sua macchina da presa coglie, spesso al rallentatore, l’esistenza quasi in ingrandimenti successivi, per poi talvolta dissimularla in un’ombra umanissima e protettiva. Egli è affascinato, sia pure con orrore, dal male, violento o impalpabile; dal male individuale e collettivo.
Marías non è sposato ma è un grande poeta del matrimonio, il rapporto esistenziale per eccellenza tra le persone e proprio per questo anche pericoloso; vita condivisa che è un confessionale e insieme un’elusione, un dirsi tutto, una difficoltà o impossibilità di dirlo e un tentativo di non dirlo egualmente appassionati, rischiosi e colpevoli; una complicità e una rivalità che ruotano intorno al dire e non dire. La vita, per Marías, è insieme fedeltà e tradimento; non il banale tradimento erotico o sentimentale, ma il continuo tradimento dei propri amici, amanti, genitori, fratelli, amori, fedi; della propria infanzia e del proprio passato, che si tradiscono anche solo allontanandosi da essi nel tempo, cancellandoli e cancellandosi. La letteratura, indagando e talora rivelando il segreto, svolge una funzione potenzialmente pure profanatrice; essa narra il segreto, ma lo narra più tardi, in un momento magari sbagliato, mettendo in moto anche meccanismi distruttivi […].
Questo scrittore così esperto della dislocazione moderna o postmoderna dell’Io offre al lettore ciò che il romanzo contemporaneo non sa o non vuole offrire se non raramente: personaggi in carne e ossa, storie, vicende, avventure, verità essenziali sulla vita, sull’amore, sulla vicinanza/lontananza degli esseri umani; sulla loro perdita, sulla struggente difficoltà di vivere insieme, nell’amicizia come nell’amore».dal tradimento e dalla delazione, dai crimini compiuti pure dagli Stati e dalla legge; dal male opaco che viene assorbito, dimenticato o integrato nella vita che continua.
Marías è anche un grande narratore della verità e del segreto, dell’impossibilità e talora della necessità dell’ignorare. Raccontare deforma e altera i fatti, li crea e insieme li nega.
Lo scrittore e il lettore sono anche delle spie; inventare la vita, come fanno gli scrittori – dice Marías – significa «trovare», scoprire la vita stessa, come vuole il verbo latino «invenire». La scrittura fa qualcosa di più: scopre pure l’ assenza, ciò che è andato perduto, le omissioni e i desideri inappagati di un’esistenza, i progetti frustrati; scopre ciò che uno è stato e ciò che non è stato […]. In ciò consiste la verità della scrittura ma anche il suo potenziale devastante, perché costringe a fare i conti con la totalità di ciò che siamo, il cui peso talora è insostenibile.

Sandra Tassi

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