Alice Walker, Il colore viola

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Una applaudita ristampa, quella de Il colore viola, celebre romanzo della scrittrice americana Alice Walker. Dopo 35 anni dalla pubblicazione, lo ritroveremo presto nelle librerie, con grande soddisfazione di chi già lo lesse negli anni ottanta. Dopo il premio Pulizer (1983) e il National Book Award, infatti, il libro giunse in Italia in quegli anni, firmato da un’attivista per i diritti delle donne e aprendo la strada ad una felice stagione della letteratura nera. Si pensi alle numerose opere di Toni Morrison che, a partire da Amatissima (del 1989), diventò erede e paladina del racconto della storia vista dai neri con numerose e ottime pubblicazioni.

Interessante è senz’altro il fatto che la riedizione dell’opera avvenga in un mondo americano profondamente cambiato nell’ultimo trentennio, fino ai giorni nostri, quando il presidente Trump manifesta la propria misoginia, e minimizza le violenze del Ku Klux Klan, tanto che Il colore viola si propone ancora come romanzo controcorrente e provocatorio, come lo fu negli anni ottanta.

Un titolo indimenticabile, ancor più dopo l’adattamento cinematografico di Steven Spielberg che, nel 1985, propose come attrice protagonista la già incomparabile Whoopy Golberg.

Se non molti anni fa Toni Morrison con il suo Dio salvi i bambini esortava a non dare per risolti né i fenomeni di razzismo né – tantomento – la violenza sulle donne, la Walker ritorna sugli scaffali ricordando che le donne devono trovare il coraggio di raccontare: la storia di Celie diviene “storia delle donne” solo quando è resa pubblica, esce dal privato domestico e diventa liberazione.

La rilettura di un romanzo che, forse, potrebbe essere annoverato tra i più significativi del ventennio conclusivo del Novecento e, comunque, centrale nell’epopea del neri in America, può offrire al lettore una nuova prospettiva. Senza rincorrere la trama per “sapere come va a finire” la storia della donna nera oltraggiata a dismisura, violentata dal patrigno prima e dal marito poi, il lettore oggi può soffermarsi sul tema centrale del libro: che non si può essere felici provando odio, che i neri possono essere felici e realizzare se stessi.

La rilettura, inoltre, nella nuova traduzione ad opera di Andreina Lombardi Bom, dopo trentacinque anni si storia – di eventi europei e mondiali, tra cui la presidenza di Obama, – fa apprezzare il romanzo dal punto di vista dell’intenzionalità della scrittura.

Dopo la prima traduzione, infatti, a cura di Marisa Caramella, numerosi sono stati gli studi relativi a Il colore viola, sia riguardanti l’autrice che la struttura e lo stile del romanzo stesso. Nella nuova traduzione, infatti, emerge un dato stilistico che – per quanto presente già nell’edizione del 1982 – risulta folgorante: si tratta della scelta e dell’uso del linguaggio.

Già all’epoca della sua prima pubblicazione, il pubblico americano non gradì l’utilizzo di un linguaggio popolare, reclamando una lettura in inglese corrente. Già ai tempi, però, la Walker scelse di trasporre nella sua prosa il linguaggio di una ragazza afroamericana cresciuta in una zona rurale del sud, negli anni trenta; perché “quel” linguaggio rappresenta l’identità di Celie, e il lettore è chiamato allo sforzo di capire da dove nascano i termini e la parlata che lei è solita usare.

Ciò che ci regala, oggi, il romanzo nella traduzione di Andreina Lombardi Bom è il tentativo di entrare con maggior decisione entro quel linguaggio fatto di complessità e interferenze gergali, nonché da veri e propri neologismi creati dalla protagonista del romanzo per esprimere i contenuti di una vita ai margini della sopportazione: per la Walker si trattò di una vera e propria sperimentazione operata sul linguaggio, oggi rimarcata: per il lettore contemporaneo una nuova lettura deve consistere proprio nella dovuta attenzione alla crescita progressiva – entro le pagine del romanzo – del modo, costantemente in evoluzione, in cui Celie, semianalfabeta, prova e riesce a parlare di sé e del suo mondo.

Quando osservavo i colori della natura mi sembrava che predominassero il giallo e il rosso. Ma più prestavo attenzione a ciò che mi circondava più mi rendevo conto che il viola è ovunque. Non lo notiamo subito perché si nasconde facilmente. Ma è sempre stato lì. La stessa cosa accade con la violenza sulle donne: tu pensi che non esista perché si verifica nel privato domestico, lontano dagli occhi. Ma è sempre stata lì: ed ecco che compare il colore viola”

Oggi, in America e in tutto il mondo, compresa casa nostra, il colore viola è uscito dal privato ed è di dominio pubblico. Ora lo vediamo.

E se ieri era dovere delle vittime rendere consapevole chi non voleva riconoscerlo, oggi siamo noi, che siamo informati dai media della dilagante esistenza degli abusi sessuali e dei femminicidi e che assistiamo al tragico espandersi della violenza sulle donne, ad essere chiamati in causa per porvi fine.

Sandra Tassi

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