
Adriana Guerrieri
In età già matura Renata Viganò si è trovata a partecipare alla Resistenza, distinguendosi per il suo impegno nelle formazioni garibaldine assieme al marito Antonio Meluschi, uno dei più bei nomi dell’antifascismo italiano. La sua notorietà è legata allo straordinario successo riscosso nel dopoguerra da L’Agnese Va a morire, il libro a cui la Viganò aveva affidato il racconto romanzato delle proprie esperienze di partigiana. Vincitore del Premio Viareggio nel 1949 questo romanzo la consacrò immediatamente, e per almeno due decenni, come la depositaria ufficiale della memoria della Resistenza; anche se lei ci tenne a ribadire sempre che la storia narrata nel suo libro si riferiva a eventi realmente accaduti e che dunque non dovesse essere classificato tra le opere di finzione, ma tra i documenti storici. Il soggetto preferito anche nei suoi testi brevi sono le donne che “hanno smesso di avere paura” grazie alla loro partecipazione alla guerra partigiana.
Nelle sue pagine letterarie troviamo due tempi narrativi: quello della vita che continua, nonostante tutto (come in Arriva la cicogna ),e quello contrario dell’ irruzione violenta della Storia nell’esistenza quotidiana, con esempi tanto distruttivi – come in Matrimonio in Brigata – quanto salvifici, come La grande occasione, che riportiamo in lettura.
Proprio da quest’ultimo racconto può venire un esempio rappresentativo del romanticismo rivoluzionario che irradia un po’ tutte le pagine della Viganò e della funzione consolatoria che l’autrice attribuisce ad esse.
In questo racconto la guerra offre inaspettatamente all’ «appassita» Amedea un breve amore: la rinuncia al romance e la sublimazione sessuale – ammonisce l’autrice – può essere dolce quando viene praticata in nome della Causa.
S. T
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